Cosa hanno in comune il Gasparri Sitaxi e i Notav (aggiungerei anche Notai e sottobraccisti vari)? L’espressione di un’Italia brutta, immobile, parziale, vecchia. Un modo di fare che ricorda quanto abbiamo consapevolmente deciso di lasciarci alle spalle quando abbiamo siglato, figurativamente, il contratto sociale. In effetti, siamo il risultato di un processo evolutivo, e alcuni istinti di sopravvivenza, egoistici per definizione, ci sono così propri da rimanerci attaccati, pur nel “nuovo” set up sociologico scelto. E così l’uso della forza (fisica, sociale o finanziaria che sia) per far prevalere le proprie elitarie ragioni non è l’eccezione che conferma il nostro modo di organizzarci socialmente, ma la regola. Tanto che più di qualcuno pensa che sarebbe giusto rendere il tutto trasparente, regolamentandolo.
Certo, cosa ci sarebbe di male se le forze sociali, auto-organizzandosi, influenzassero la gestione della res publica, e quindi se stessi? Daltronde, si dice, sarebbe proprio dalla gestione della lotta tra le varie posizioni rappresentate che si raggiungerebbe una finalità sociale più amplia. Bene, ci sarebbe, e c’è, di male che così facendo non si andrebbe nella direzione di maggior efficacia sociale, ma di tutela degli interessi dei più forti.
Chi ha rappresentato le reali esigenze dei lavoratori precari? Di certo non i sindacati, troppo presi ad arrocarsi su posizione sbilanciate verso i propri iscritti. Chi ha rappresentato i nostri interessi nel processo che ha visto trasformare a colpi d’accetta il decreto sulle liberalizzazioni? Forse i sottobraccisti vicini ai tassisti? O quelli dei farmacisti, dei notai, etc.? Pur essendo innegabili i benefici diffusi rispetto ai costi di pochi privilegiati, hanno vinto le lobby rendendo decisamente meno efficace il pacchetto.
Gli esempi si sprecano, e basta guardare a sistemi che da tempo si sono piegati a questa evoluzione della legge del più forte per intravedere dove siamo diretti. Siamo convinti di quello che stiamo (o non stiamo) facendo?